I senatori del M5S a mezzogiorno usciranno dall'Aula del Senato per non votare la fiducia sul decreto Aiuti, che stanzia svariati miliardi per sostenere imprese e famiglie. Una scelta causata dal no al termovalorizzatore di Roma e che, salvo miracoli, porterà alla fine del governo Draghi. Il Quirinale continuerà a esercitare la sua moral suasion fino all'ultimo minuto, ma la decisione di Giuseppe Conte è presa.

Per Conte il Paese «sembra sull'orlo del baratro», «lo scenario è cambiato e serve una fase differente». Eppure è lo stesso Conte alle dieci della sera a dire ai suoi parlamentari che Draghi gli ha offerto il «segnale» che voleva con la sua lettera-ultimatum: «Ho registrato una disponibilità a venirci incontro su tutti i punti. Ma la fase che stiamo attraversando necessita più delle promesse». Le colombe del Movimento sperano ancora. Alle undici di sera c'è chi racconta di un incontro tra Conte e Draghi e chi pensa che il leader abbia parlato con il presidente Mattarella. Il Quirinale smentisce, ma un teorema prende forma: dopo lo strappo Draghi salirà dimissionario al Colle e, se accetterà di tornare alle Camere per verificare se c'è ancora una maggioranza, il M5S gli voterà la fiducia.

Matteo Salvini, leader della lega, però avvisa: «Se i 5 Stelle escono dall'Aula la maggioranza non c'è più. È attorno alla telefonata lunga, densa e tesa tra Draghi e Conte che ha ruotato la vigilia del governo di unità nazionale, che oggi potrebbe vivere le sue ultime ore. La crisi non è mai stata così vicina. Alle 9h30 cominciano i lavori nell'aula di palazzo Madama, all'ordine del giorno c'è il voto di fiducia sul decreto Aiuti e i senatori del M5S, ala dura delle truppe contiane, hanno tirato con forza la giacca al leader per convincerlo a strappare. «Conte non era convinto - è la lettura di un ministro -. Quando ha capito che non votando la fiducia avrebbe fatto cadere il governo ha cominciato a frenare, ma era tardi».

Dopo ore di tormenti in videoconferenza, quella che matura è la scelta più estrema: l'Aventino. Per Draghi non ci sono escamotage possibili. Senza fiducia, il governo non c'è più. Il premier non è disposto a guidare un governo che non può contare sul pieno sostegno dei partiti che lo hanno fatto nascere. Salvini porta a conclusione l'avvertimento del premier: «Se una forza di maggioranza non vota un decreto della maggioranza, fine. Si va a votare". Stesso discorso per Enrico Letta. "Paradossale mettere a rischio il governo proprio quando apre il capitolo della lotta alla precarietà», dice il leader dem.

Quando ieri pomeriggio Conte ha chiamato il premier per cercare una via d'uscita dal cul de sac, il capo dell'esecutivo vede una strada sola: «perché il governo vada avanti i partiti devono votare la fiducia, altrimenti c'è la crisi». Questo il senso del ragionamento di Draghi, che non ritiene possibile proseguire la corsa dopo lo strappo di un partito importante della maggioranza. I numeri ci sono anche senza il M5S, è vero. Ma il governo sarebbe paralizzato dai veti e per Draghi «non è di questo che il Paese ha bisogno». Ora dopo ora la tensione aumenta e si moltiplicano gli appelli alla responsabilità.

alu

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MF-DJ NEWS

1409:35 lug 2022

 

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