Coronavirus: Conte; non si può chiudere tutto, non siamo Cina (Stampa)
March 13 2020 - 3:54AM
MF Dow Jones (Italian)
La crisi sanitaria scatenata dal contagio del coronavirus
diventerà sicuramente economica e farà male, molto male. Ma
potrebbe diventare subito anche sociale. Lo scrive La Stampa
spiegando che questo è uno scenario realistico che Giuseppe Conte
tiene in considerazione da giorni e che ieri, gli è esploso in
faccia con i picchetti degli operai, gli scioperi dei sindacati, la
rivolta dei dipendenti di molte aziende, dei rider delle consegne a
domicilio esclusi dalle categorie messe in quarantena per decreto,
le proteste dei partiti di opposizione guidati da Matteo Salvini ma
anche di alcuni leader di maggioranza.
Questa mattina il presidente del Consiglio avrà un confronto in
videoconferenza con le associazioni degli industriali e le sigle
sindacali, alla presenza dei ministri del Lavoro, dello Sviluppo
economico e dell'Economia. Per prima cosa illustrerà il protocollo
di sicurezza nelle fabbriche a tutela della salute dei lavoratori,
contenente le linee guida da attuare in ogni singolo stabilimento:
dotazione di mascherine (le nuove che arriveranno saranno divise
tra sanitari e operai), distanza di sicurezza, nei reparti e in
mensa, sanificazione degli ambienti e dotazione di gel e
disinfettanti perla persona.
Poi, il premier spiegherà con quale criterio ha scelto le
attività da tenere aperte. "C'è una filiera produttiva che è
interconnessa e ogni decisione ha conseguenze che devono essere
calcolate". L'altro ieri, nel lungo pomeriggio che ha portato al
videomessaggio che ha annunciato il blocco nazionale delle attività
commerciali, Conte si è riunito con un gruppo di lavoro che ha
pensato a lungo quali settori includere e quali no. A molte domande
che oggi si fanno gli italiani nel governo hanno tentato di dare
una risposta. Le fabbriche? Se chiudi la produzione della plastica,
potrebbero mancare le bottiglie per l'acqua, o i contenitori, se
fermi quella del cartone. Se le industrie non producono la
componentistica, rischiano di saltare i macchinari che hanno
bisogno di ricambi.
"L'Italia non è la Cina, non ha la sua estensione geografica -è
la spiegazione di Conte- Non si puo fermare tutto, anche perché
serve mantenere le condizioni minime di produzione per affrontare
l'emergenza sanitaria". Quando la regione di Hubei, epicentro del
contagio globale, è stata sigillata e desertificata, costringendo
le persone a blindarsi in casa, fermando trasporti e industrie,
c'era comunque il resto del Paese che garantiva le linee di
produzione essenziali.
Molti interrogativi però ci sono stati anche sulla scelta di
tenere aperti altre attività. Anche su questo Conte ha una
risposta. I benzinai: non puoi lasciare a secco gli
autotrasportatori che portano i beni di prima necessità. Gli
alberghi: servono per i soldati, i poliziotti, come è successo a
Codogno quando è diventata zona rossa e sono trasferiti agenti da
Sud a Nord Ma gli hotel sono aperti anche per chi assiste un
parente portato in ospedale. Gli idraulici e gli elettricisti:
molta gente che vive da sola potrebbe aver bisogno se dovesse
saltare la corrente o le tubature.
Va trovato un equilibrio tra ragioni sanitarie, di sicurezza e
la necessità di garantire attraverso una rimodulazione della
mobilità il tessuto produttivo per tenere invita il Nord e il resto
del Paese. Conte ne è consapevole. Il decreto dove possibile
incentiva al massimo lo smart working, come per gli uffici, ma per
le industrie è più difficile. Conte confida nella riduzione del
contagio grazie a una nuova consapevolezza acquisita dagli italiani
che si sono chiusi in casa, svuotando le città. Non vuole "far
saltare in aria il Paese" e considera le parole di Matteo Salvini
"facili slogan", che "soffiano sul fuoco sociale".
vs
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March 13, 2020 03:39 ET (07:39 GMT)
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