Archiviata da poche ore con numeri superiori rispetto alle attese degli analisti la semestrale che per la prima volta consolida i risultati della tedesca Walterscheid Powertrain Group, Comer Industries inizia a ragionare sull'opportunità di pianificare nuovo m&a nella seconda parte dell'anno.

Facendo leva sul più ampio perimetro di gruppo, scrive Mf-Milano Finanza, l'azienda emiliana specializzata nella progettazione e produzione di sistemi ingegneristici e soluzioni meccatroniche per macchine agricole e industriali ha archiviato la prima metà d'esercizio con ricavi consolidati che raffrontati con il pro forma al 30 giugno 2021 sono cresciuti del 19% a 633,7 milioni, mentre ebitda adjusted ed ebit si sono rafforzati del 31,5% e del 51% a 84,1 e 62,2 milioni. L'ultima riga del conto economico vede poi un utile netto più che raddoppiato da 22,6 a 48,1 milioni. Quanto allo stato patrimoniale, la posizione finanziaria netta è a debito per 125,3 milioni, stabile rispetto ai 120 milioni di fine 2021.

Questione di porte girevoli. La partita Wpg avrebbe potuto avere un esito differente. «In origine fu One Equity Partners (il fondo che controllava Walterscheid Powertrain Group, ndr) a bussare alla nostra porta, con l'intento di comprarci», rivela a Milano Finanza il presidente e ceo di Comer Industries, Matteo Storchi. «Noi però non avevamo alcuna intenzione di passare la mano e a nostra volta ci siamo offerti di rilevare Wpg, sfruttando anche il fatto che negli ultimi anni l'azienda tedesca, nostra diretta concorrente, aveva visto diversi fondi di private equity avvicendarsi al controllo». Il risultato è stato che One Equity Partners ha accolto la proposta, accettando in pagamento un mix carta-cash che ha diluito il fondo al 28% nel nuovo conglomerato lasciando il controllo nelle mani degli Storchi. Al fianco di Matteo oggi nel gruppo lavora anche il cugino Cristian, vicepresidente, mentre il fratello Marco siede in cda. I tre imprenditori rappresentano la seconda generazione alla guida dell'azienda, radunati nel veicolo Eagles Oak a cui fa capo il 51,05% di Comer Industries. Oltre al già citato One Equity Partners al 28%, tra i soci rilevanti figura anche Finregg, scatola societaria che riunisce la prima generazione degli Storchi e che detiene il 5,93% delle quote. Il flottante di mercato è al 15,02%.

Due progetti nel cassetto. In un anno in cui numerose realtà quotate hanno avviato buyback ricomprando azioni proprie sul mercato gli Storchi pensano di muovere nella direzione opposta. Entro i prossimi 12 mesi il gruppo punta infatti a trasferirsi nel segmento delle mid cap di Piazza Affari, abbandonando il listino delle capitalizzazioni sottili, l'Egm, che dopo l'operazione Powertrain inizia ad andare stretto. Il che implicherà un incremento del flottante, attorno al 25%. Come avverrà? Diverse le opzioni sul tavolo, «ma quel che è certo fin d'ora è che la mia famiglia non scenderà di un'azione», assicura il top manager.

Il secondo tema nevralgico è quello legato a ulteriori operazioni d'm&a che l'azienda potrebbe mettere in cantiere entro fine anno. «L'integrazione con Wpg sta procedendo molto bene grazie alla fattiva collaborazione con tutti gli stakeholder coinvolti e ora ci sono ambizioni da consolidare», ammette Storchi. Che traccia un identikit dei possibili target: «ci piacerebbe comprare un po' di tecnologia al di fuori della meccanica che resta comunque il nostro core business. Penso ad esempio al comparto della sensoristica». Quanto alle geografie considerate più interessanti, il capo azienda indica Usa, India e Brasile, aree in cui Comer Industries è già oggi presente. In merito alla dimensione delle possibili prede, il ceo ha infine spiegato che «non è un problema di dimensioni quanto piuttosto di completamento della gamma prodotti». Il gruppo pensa di destinare all'm&a tra 30 e 35 milioni della cassa che conta di generare nella seconda parte d'anno. Il tutto senza deviare dalla traiettoria di contenimento progressivo del costo del debito («l'obiettivo è generare cassa per almeno il 30% dell'ebitda») né penalizzare gli azionisti («non abbiamouna vera e propria politica sul fronte della remunerazione dei soci, ma dall'ipo nel 2019 abbiamo sempre riconosciuto un dividend yield tra 1,5 e 3%»). Tanto meno riducendo gli investimenti previsti, che per il 2022 ammontano al 3% del fatturato atteso. «Siamo un'azienda capex expensive e il 50% circa degli investimenti sono di tipo manutentivo, come tali non procrastinabili nel tempo. In caso contrario si corre il rischio concreto di perdere competitività».

Schivata la tagliola russa. Ironia della sorte, l'Antitrust di Mosca è stata quella che più ha fatto penare l'azienda italiana nella partita Wpg. «Il regulator si è preso fino all'ultimo giorno per darci l'ok, chiedendo integrazioni documentali. Poi tre mesi dopo il via libera sono arrivate l'invasione dell'Ucraina e le sanzioni». Conti alla mano, lo stop sui mercati russo e ucraino pesano per non più del 2% sul fatturato. Anche le interruzioni delle catene d'approvvigionamento non hanno avuto particolari ripercussioni. «La nostra strategia prevede di essere indipendenti dal punto di vista manifatturiero in ogni regione in cui siamo presenti»

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